2 MARZO 1999 nr. 21 Notiziario a cura del Museo Internazionale Croce Rossa Castiglione delle Stiviere (MN) ---------------------------------------------------------------------------------- 1. FACCIAMO RISUONARE NEL MONDO INTERO IL TRATTATO CONTRO LE MINE - Padre Storgato di "Campagna italiana per la messa al bando delle mine" Missione Oggi BRESCIA 2. IL CONTESTO DEL PROCESSO DI OTTAWA- Traduzione di Luigi Micco 3. BANDO INTERNAZIONALE DELLE MINE ANTIUOMO GENESI E NEGOZIAZIONE DEL TRATTATO DI OTTAWA - Traduzione di Alessandra Sorrenti
-------- 1 ----------- FACCIAMO RISUONARE NEL MONDO INTERO IL TRATTATO CONTRO LE MINE: celebriamo questo storico giorno ricordiamo le popolazioni colpite 1° MARZO 1999 - "Io lo so perché tanto di suono nel cielo si stende..." Le campane di tutta Europa suonano all'unisono, dopo ben 54 anni dalla storica eruzione di festa per la firma dell'armistizio che poneva fine alla Seconda Guerra mondiale (1945). Suonano per celebrare l'entrata in vigore del Trattato internazionale che mette al bando le mine antipersona e ne sancisce la loro distruzione dalla faccia della terra. Suonano ancora per commemorare le vittime del passato, del presente e - ahimè - del futuro, tutte le persone civili e militari uccise e dilaniate da questi ordigni infami, trappole per l'umanità che vuole la pace. Allo stesso tempo, chiediamo urgentemente a tutti gli stati che sono rimasti fuori del Trattato, e in particolare alle "grandi" nazioni Cina, Russia e Stati Uniti, che si affrettino a firmare il Trattato che mette a morte le mine che anch'essi hanno costruito e disseminato tra le popolazioni più povere del mondo. E tutti si uniscano - governi ed enti locali, militari e civili, aziende d'armi e commercianti, banche e istituti di credito, scuole e istituzioni, gruppi e individui - per raccogliere e mettere a disposizione fondi ben più consistenti per assistere le vittime e per bonificare e restituire alle popolazioni la terra che mine ed armi hanno loro illegalmente rubato. Anche l'Italia, che ha avuto la spudoratezza di far costruire e svendere più di 30 milioni di mine, si dia da fare per "riparare" ai danni arrecati. I nostri parlamentari, così lenti e indecisi nelle cose importanti, si affrettino a dare il loro voto ad una legge di ratifica che sia trasparente e senza compromessi; e, insieme al voto, diano almeno il "gettone di presenza" del giorno di votazione alle vittime e allo sminamento umanitario. Ma non solo le campane. Suonino tutti gli strumenti, pur di far chiasso; pur di far sapere a tutti che, grazie a Dio, ci stiamo riuscendo. E laddove i sacerdoti del Signore della pace e della vita non osano far suonare a festa le campane della comunità - chissà, forse per non profanarle? - i gruppi attivi e le persone sensibili e solidali facciano suonare pentole e piatti, facciano fracasso, fino a "scocciare" i timpani dei benpensanti, degli ignoranti e degli indifferenti. Una volta tanto, si faccia "casino" per qualcosa che vale! Marcello Storgato "Campagna italiana per la messa al bando delle mine" Missione Oggi BRESCIA -------- 2 ----------- Il contesto del processo di Ottawa Un sentimento generale di disappunto regnava durante la chiusura, il 3 maggio 1996 a Ginevra, della prima Conferenza di esame della Convenzione del 1980 su certe armi classiche [1]. In effetti, gli Stati parti erano stati incapaci di pervenire ad un consenso sulla scelta dei mezzi capaci di lottare efficacemente contro il flagello mondiale costituito dalle mine terrestri. Il II Protocollo annesso alla Convenzione del 1980 è stato emendato il 3 maggio 1996 [2]. Benché esso introduce una serie di cambiamenti che sono stati largamente accettati, il II Protocollo modificato, non equivale ad un'interdizione totale delle armi in oggetto, anche se più di 40 Stati erano già favorevoli a tale interdizione. Volendo evitare che il movimento lanciato su scala internazionale si affievolisse, la delegazione canadese ha annunciato che il Canada avrebbe organizzato, prima della fine dell'anno, una riunione degli Stati favorevoli all'interdizione, allo scopo di non arrestare una strategia tesa ad incitare la comunità internazionale ad impegnarsi sulla strada dell'interdizione mondiale delle mine antiuomo. Questa riunione, la "Conferenza internazionale su una strategia: verso l'interdizione completa delle mine antiuomo" (normalmente chiamata "Conferenza di Ottawa del 1996", o "prima Conferenza di Ottawa"), si è svolta nella capitale canadese dal 3 al 5 ottobre 1996. Essa ha messo in piazza quello che porterà il nome di "processo di Ottawa", ossia i negoziati, condotti a tamburo battente, di un trattato che vieta le mine antiuomo. Durante la sessione di chiusura della Conferenza, il ministro degli Affari esteri del Paese ospite, Lloyd Axworthy, ha terminato il suo discordo lanciando un appello a tutti i governi invitandoli a ritornare a ad Ottawa prima della fine del 1997 per firmare il trattato d'interdizione. Quest'ardita iniziativa ha immediatamente ricevuto l'appoggio del presidente del CICR, Cornelio Sommaruga, che partecipava alla Conferenza, come il segretario generale delle Nazioni Unite e la Campagna internazionale per l'interdizione delle mine antiuomo. Essa ha tuttavia sorpreso i governi rappresentati ad Ottawa, e nulla faceva pensare che sarebbe stata coronata da successo. Infatti, in quel momento, solo una cinquantina di governi avevano pubblicamente annunciato d'essere favorevoli ad un'interdizione completa, mondiale, delle mine antiuomo [3] e il II Protocollo modificato era allora generalmente considerato come l'accordo internazionale più restrittivo che potesse essere messo su in quel momento. Tuttavia, 14 mesi più tardi, durante la Conferenza per la firma del trattato, che ha avuto luogo ad Ottawa nel dicembre 1997, i rappresentanti di 121 governi avevano risposto all'appello e premevano per firmare la Convenzione sul divieto d'impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione [4]. Tre Paesi - Canada, Irlanda e Maurice - hanno allo stesso tempo depositato i loro strumenti di ratifica. Fino all'aprile 1998, la Convenzione contava un totale di 124 Stati firmatari. Undici Stati avevano inoltre già ratificato il trattato che entrerà in vigore sei mesi dopo che 40 Stati vi avranno formalmente aderito. Il presente articolo ha per oggetto l'esame del rimarchevole successo registrato nel campo dei negoziati dal trattato e dalle sue differenti disposizioni. Esso presenta ugualmente certe implicazioni del processo e del suo successo per il futuro sviluppo del Diritto Internazionale Umanitario. Non cerca, tuttavia, di costituire un commento al trattato in se, poiché questa tappa ha tutto da guadagnare ed essere compiuta fra qualche tempo. Note Originale in inglese [1] Convenzione delle Nazioni Unite sul divieto o limitazione dell'uso di certe armi classiche che potevano essere considerate come producenti degli effetti traumatici eccessivi o come esplodenti senza discriminazione, del 10 ottobre 1980. [2] Protocollo sul divieto o la limitazione dell'uso di mine, trappole o altri dispositivi, così come è stato modificato il 3 maggio 1996 (II Protocollo modificato, annesso alla Convenzione su certe armi classiche, supra nota 1). [3] Cinquanta Stati avevano partecipato a pieno titolo alla prima Conferenza di Ottawa: Sud Africa, Germania, Angola, Australia, Austria, Belgio, Bolivia, Bosnia-Herzegovina, Burkina Faso, Cambogia, Camerun, Canada, Colombia, Croazia, Danimarca, Spagna, Stati Uniti, Etiopia, Finlandia, Francia, Gabon, Grecia, Guatemala, Guinea, Honduras, Ungheria, Iran, Irlanda, Islanda, Italia, Giappone, Lussemburgo, Messico, Mozambico, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Perù, Filippine, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Trinidad e Tobago, Uruguay e Zimbabwe. Ventiquattro altri Paesi - Albania, Argentina, Armenia, Bahamas, Benin, Brasile, Brunei, Darussalam, Bulgaria, Cile, Cuba, Egitto, Federazione Russa, India, Israele, Malesia, Marocco, Pakistan, Repubblica di Corea, Repubblica Federale di Yugoslavia, Repubblica Ceca, Romania, Ruanda, Santa Sede e Ucraina - hanno assistito alla Conferenza come osservatori ufficiali. [4] Convenzione sul divieto d'impiego, di stoccaggio, di produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione, del 18 settembre 1997, riprodotta in RICR, n. 827, settembre-ottobre 1997, pp. 603-619. -------- 3 ----------- BANDO INTERNAZIONALE DELLE MINE ANTIUOMO GENESI E NEGOZIAZIONE DEL TRATTATO DI OTTAWA di Stuart Maslen e Peter Herby(1) PUNTI CHIAVE DEI NEGOZIATI DI OTTAWA Lo scopo del trattato Il primo progetto del testo austriaco conteneva un articolo riguardante il campo di applicazione del trattato. Prevedeva che la Convenzione venisse applicata "in tutte le circostanze, inclusi i conflitti armati e il tempo di pace". Una simile disposizione doveva figurare in un trattato che proibisce interamente un'arma? La questione è stata dibattuta alla riunione degli esperti di Vienna. L'articolo sul campo di applicazione è stato soppresso nel secondo progetto austriaco: è stato ritenuto superfluo includerlo in questo accordo, poiché gli Stati contraenti si impegnavano a "non sperimentare, produrre, accumulare, trasferire od utilizzare mine antiuomo in nessuna circostanza". La mancanza di una tale disposizione, tuttavia, implicava l'assenza di un riferimento specifico all'applicazione del trattato per tutte le parti in conflitto. Ciò ha vanificato le speranze di un gruppo di paesi, in particolare della Colombia e della Campagna internazionale per il bando delle mine - che si auguravano che il trattato regolasse espressamente il comportamento di tutte le parti in conflitto e non solo quella degli Stati. Tuttavia, nel firmare il trattato di Ottawa, la Colombia ha ribadito la propria convinzione che, sebbene non avesse nessun effetto sullo stato legale delle varie parti coinvolte, la Convenzione si rivolgeva a tutti i belligeranti che sono soggetti del diritto internazionale umanitario (in virtù dell'articolo 3 comune delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e del II Protocollo Aggiuntivo del 1977). Questa interpretazione non è stata contestata. L'articolo 9 del trattato di Ottawa prevede che ogni Stato contraente prenda ogni misura appropriata - legale, amministrativa o di altra natura - a livello nazionale per prevenire e reprimere le violazioni alla Convenzione. Ciò significa che sono inclusi la produzione, lo stoccaggio, il trasferimento o l'uso di mine antiuomo da parte di individui sotto la giurisdizione o il controllo degli Stati contraenti, compresi i membri di forze insurrezionali. Inoltre, uno dei paragrafi del Preambolo stabilisce che l'accordo tra gli Stati aderenti si basa sul "principio del diritto internazionale umanitario secondo cui il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato, secondo il principio che impedisce di utilizzare nei conflitti armati armi, proiettili, sostanze e metodi di guerra che causino mali superflui, sofferenze inutili e sul principio di distinzione che deve essere fatta tra civili e combattenti". Questi principi sono elementi del principio internazionale consuetudinario, che si applica a tutte le parti di qualsiasi conflitto. Distruzione degli stock di mine antiuomo Nella sua prima versione, il progetto del testo austriaco chiedeva la distruzione degli stock delle mine antiuomo nell'arco di un anno, offrendo la possibilità di procrastinare per un ulteriore anno. Poiché un certo numero di Stati riteneva il tempo concesso insufficiente e poco realistico, il secondo progetto ha fissato il limite a tre anni, ma senza supplementari proroghe. Alla Conferenza Diplomatica di Oslo è stato nuovamente spostato in avanti (è stato fissato a 4 anni) e si è giunti ad un accordo finale. Gli Stati Uniti avevano proposto di prevedere un'eccezione per le mine di cui uno Stato aderente non è né detentore né proprietario, ma che si trovano sul suo territorio; questa proposta è stata rifiutata. Infine, l'articolo 6, paragrafo 5 del trattato di Ottawa richiede specificamente che gli Stati contraenti in grado di farlo diano assistenza nella distruzione delle mine antiuomo stoccate. Un buon numero da Stati aveva in effetti sottolineato l'importanza della cooperazione e dell'assistenza internazionali per il raggiungimento di tale traguardo nel tempo fissato, che è chiaramente molto breve. Eccezione per l'addestramento allo sminamento: il primo progetto austriaco conteneva la proposta di un'eccezione al divieto di acquistare o conservare mine antiuomo "se esse sono esclusivamente utilizzate per l'approfondimento e l'insegnamento di tecniche per scoprire, sminare e distruggere tali ordigni, e condizione che le istituzioni responsabili, il quantitativo e i tipi siano registrati presso il Depositario". Alla Conferenza di Bruxelles, i partecipanti hanno rifiutato la proposta della Spagna, che proponeva di consentire un'eccezione al divieto di produzione, al fine di assicurare il nuovo approvvigionamento degli stock di mine destinate all'addestramento. Allo stesso modo, alla Conferenza di Bruxelles, l'Italia aveva chiesto che fosse fissato un limite più specifico al numero delle mine necessarie ai fini delle tecniche di scoperta e sminamento. Durante i negoziati di Oslo, è stato impossibile giungere ad un accordo su tale limite. Il testo finale prevede dunque che : "il numero di tali mine non deve eccedere il minimo assolutamente necessario per i fini suddetti": Al momento dell'adozione del trattato, un certo numero di Stati ha dichiarato di ritenere che il numero di mine antiuomo da conservare ai fini dell'addestramento era compreso tra 1.000 e 2.000". Queste cifre non sono state contestate. Per l'articolo 7 ("Misure di trasparenza"), le informazioni sui tipi e le quantità e , se possibile, i numeri dei lotti di tutte le mine antiuomo conservate ai fini dell'addestramento devono essere comunicati ogni anno al Segretario Generale delle Nazioni Unite. Rimozione e distruzione delle mine antiuomo disseminate Il progetto austriaco originale chiedeva che le mine antiuomo disseminate fossero distrutte entro 5 anni, con la possibilità di una proroga addizionale di 2 anni per gli Stati che ne avessero fatto richiesta. All'incontro successivo degli esperti a Vienna è stato giustamente fatto notare che la possibilità di uno Stato di rimuovere e distruggere le mine antiuomo dipendeva dalle capacità e risorse tecniche e che nel caso di uno Stato con gravi problemi di presenza massiccia di mine, il processo avrebbe richiesto decine d'anni. Era chiaro che il trattato aveva bisogno di consentire a tali Stati di aderire senza temere di trovarsi in violazione delle disposizioni a causa della continua presenza di mine ancora da rimuovere. E' stato anche suggerito che i campi minati siano recintati e segnalati ma che la rimozione e la distruzione non siano soggette a una severa scadenza. Tenendo conto di tali preoccupazioni, il secondo progetto austriaco stabiliva una distinzione tra la distruzione delle mine antiuomo nei campi minati (considerati come "una zona definita nella quale sono disseminate le mine") e le mine collocate in zone esterne ai campi minati. Nel primo caso, i campi minati dovevano essere segnalati in accordo con le norme internazionali standard e le mine dovevano essere distrutte in un lasso di tempo inferiore ai 10 anni dopo l'entrata in vigore del trattato; nel secondo caso l'obbligo consisteva semplicemente nel distruggere le mine (senza che sia fissato alcun limite di tempo) e nell'avvisare immediatamente ed efficacemente la popolazione dei rischi legati alla presenza di tali ordigni. Un certo numero di Stati ha sottolineato che era poco realistico fissare un tempo di 10 anni per la bonifica dei campi minati Inoltre, alla Conferenza di Bruxelles il Regno Unito ha proposto (riferendosi ai problemi legati alla rimozione delle mine in plastica 'non rilevabili' nelle Isole Falkland/Malvine) di prevedere un'eccezione in caso di terreni con valore economico marginale, dove il rischio corso dalla popolazione civile è minimo. Il CICR, tuttavia, ha chiesto agli Stati di non superare il tempo previsto e a ricordato loro di non rendere meno efficace l'obbligo recentemente stabilito (nel Protocollo II emendato) di rimuovere le mine alla fine delle ostilità. Il CICR ha insistito, come altri Stati, che un impegno senza scadenza era poco logico: anche se fissando un termine preciso si rischiava l'effetto contrario, l'espressione 'al più presto possibile' rischiava di impedire a molti di percepire il carattere di urgenza incontestabile della rimozione di tutte le mine antiuomo. Da un punto di vista umanitario, ci si augura che la proroga sia più breve possibile. Tuttavia, alcuni Stati sono così afflitti dal problema delle mine che un breve periodo sarebbe poco realistico e potrebbe dissuadere i governi dall'aderire al trattato. Per questa ragione il CICR ha proposto di mantenere l'obbligo di rimuovere nell'arco di 10 anni le mine antiuomo disseminate nei campi minati, consentendo agli Stati aderenti che avessero bisogno di una proroga di poterla chiedere. In tal modo, la situazione dei lavori di sminamento potrebbe essere valutata in maniera obiettiva, così come la necessità, per il paese interessato, di beneficiare di assistenza e di sostegno riconosciuti a livello internazionale. Considerando al difficoltà di distinguere i 'campi minati' dalle 'aree minate', è stato deciso alla Conferenza diplomatica di Oslo di estendere a tutte le mine antiuomo disseminate ' l'obbligo di procedere alla rimozione entro 10 anni dalla data di entrata in vigore del trattato per ogni Stato, prevedendo comunque la possibilità per Stati gravemente afflitti dal problema mine di beneficiare di proroghe fino ad altri 10 anni'. Come risultato dell'accordo , è stata eliminata la definizione di campi minati e solo la definizione di zona minata è stata mantenuta come "zona pericolosa per la presenza verificata o sospetta di mine". Un ultimo importante aspetto merita di essere sottolineato. L'obbligo di procedere allo sminamento copre tutto il territorio che si trova sotto la giurisdizione o il controllo di uno Stato aderente. Ciò significa che tale obbligo si estende alle situazioni in cui le forze armate di un movimento insurrezionale o separatista controllano una certa parte del territorio all'interno delle frontiere dello Stato. Senza dubbio gli Stati contraenti potranno considerare con maggior benevolenza qualsiasi domanda di proroga da parte uno Stato che non può procedere alla rimozione delle mine, perché non controlla il suo intero territorio. Le implicazioni del processo di Ottawa per il diritto internazionale umanitario Il successo del processo di Ottawa segna un gradito ritorno alla concezione tradizionale dello sviluppo del diritto internazionale umanitario, in cui i trattati vengono adottati senza che ci sia necessariamente il consenso. I negoziati che hanno avuto luogo di recente nel campo del diritto internazionale umanitario (in particolare in relazione alla Convenzione del 1980 su certe armi convenzionali) sono stati sottoposti al consenso. Il processo ufficiale di revisione della Convenzione del 1980 ha mostrato - a proposito di mine terrestri - i limiti di tale metodo. Sarà senza dubbio necessario, in previsione di futuri negoziati sulla Convenzione del 1980 (una seconda Conferenza d'esame è prevista nel 2001) di interrogarsi sulla pratica costante degli accordi tramite consenso. Inoltre, conviene insistere sull'importanza di continuare a tenere presente la Convenzione del 1980 su certe armi convenzionali . Costituisce l'unica struttura, basata sul diritto internazionale umanitario, nel quale possono essere iscritte la regolamentazione specifica delle armi convenzionali già esistenti e l'emergenza scaturita dalle nuove armi. La regolamentazione dell'impiego delle mine antiuomo prevista dal Protocollo II così emendato dovrebbe essere considerata come la norma minima assoluta per gli Stati che continuano ad utilizzare tali armi. Il Protocollo II emendato resta anche l'unico strumento internazionale che regola specificamente l'impiego e il trasferimento delle mine anticarro e che stabilisce la regola secondo cui coloro che utilizzano le mine - di qualunque tipo siano - hanno la responsabilità di rimuoverle al termine delle ostilità. Questo obbligo potrebbe rivelarsi come un'importante protezione, anche per gli stati aderenti al trattato di Ottawa, nelle situazioni di conflitto con uno Stato non contraente. Per il CICR e per il Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa nel suo insieme, la campagna contro le mine è stato un esempio del successo che l'impegno umanitario in favore delle vittime di guerra può ottenere in questo periodo di dopo guerra fredda. Decine di Società nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, di cui molte per la prima volta partecipanti per la prima volta a una Campagna, hanno sentito di essere chiamate a difendere la causa delle vittime, presenti e future, delle mine. La Campagna è stata condotta fin qui senza mettere in pericolo il principio fondamentale di neutralità, che proibisce ai componenti del Movimento di 'prendere le parti' in caso di conflitto o di favorire certe fazioni politiche o gruppi specifici. Questo principio tende a garantire che tutte le vittime di guerra ricevano protezione ed assistenza: costituisce così uno dei mezzi per giungere ad uno scopo, ma non uno scopo in se stesso. Il processo di Ottawa ha inoltre mostrato che la società civile ha un ruolo cruciale da giocare per consolidare il diritto internazionale. Il ruolo complementario svolto da governi chiave, dalla Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo e il CICR promette bene per il futuro sviluppo del diritto internazionale umanitario. In contrasto col CICR, la Campagna ha potuto criticare le posizioni di alcuni governi in modo diretto e pubblico. D'altra parte, lo speciale status del CICR come organizzazione internazionale e la sua rete di militari professionisti che collaborano con le forze armate sul diritto umanitario consentono di accedere ad ambienti militari e governativi, cosa che le organizzazioni non governative non possono fare. L'impegno a livello mondiale che è stato necessario per giungere ad una normativa giuridica internazionale che proibisce le mine antiuomo ha inoltre mostrato chiaramente che la Comunità internazionale deve da un lato avere un atteggiamento maggiormente preventivo in materia di controllo o proibizione di armi che vanno contro il diritto internazionale umanitario e dall'altro adottare un metodo più dinamico nell'elaborare tale diritto. Il processo di Ottawa ha permesso all'opinione pubblica di prendere maggiore coscienza dei limiti che devono essere imposti alla condotta di guerra. Gradi speranze vengono ora riposte nelle azioni degli Stati. Il CICR esamina attualmente, insieme ad esperti medici, dei possibili criteri medici oggettivi per capire se gli effetti sulla salute di una tale arma possano essere tali da causare mali superflui o sofferenze inutili. Nonostante il suo successo, il processo di Ottawa ha dimostrato molto chiaramente la necessità di un approccio maggiormente preventivo verso i problemi legati alle armi sul piano del diritto internazionale umanitario. Bisogna veramente attendere che migliaia di civili rimangano feriti od uccisi prima che l'impiego di ogni nuova arma che violi il diritto internazionale umanitario venga regolato o proibito? Prima dell'utilizzo di qualsiasi nuova arma bisognerebbe condurre un'analisi sistematica e un dibattito informato. Il recente accordo che vieta in anticipo l'uso delle armi laser accecanti è una buona base per sperare. Considerato il rapido sviluppo delle nuove tecnologie, la protezione fornita dal diritto umanitario sarà di cruciale importanza per garantire all'umanità di essere beneficiaria e non vittima dei progressi tecnici che hanno profonda influenza sulla condotta di guerra. 1) Stuart Maslen è consigliere giuridico e Peter Herby coordinatore dell'Unità mine/armi in seno alla Divisione Giuridica del CICR. Sono stati entrambi membri della delegazione del CICR alla Conferenza Diplomatica di Oslo, durante la quale è stato discusso il trattato di Ottawa. i Alla fine del 1996 è stato fatto circolare un progetto di Convenzione redatto dal Governo austriaco. Inoltre, dal 12 al 14 febbraio 1997 si è tenuta a Vienna una Conferenza internazionale durante la quale i rappresentanti di 11 paesi, del CICR, delle NU e della Campagna internazionale per la messa al bando delle mine (una coalizione di organizzazioni non governative) hanno potuto discutere il contento di un futuro trattato per il bando totale di questo tipo di armi. |