24 SETTEMBRE 1999 nr. 39 Notiziario a cura del Museo Internazionale Croce Rossa Castiglione delle Stiviere (MN) ----------------------------------------------------------------------------------
1- CICR news nr.38 del 16.9.99 Traduzione di Roberto Arnò 2- Editoriale Revue Internationale de la Croix Rouge - Giugno 1999 nr.834 - Traduzione di Luigi Micco 3- Indice della Revue Internationale de la Croix Rouge - Giugno 1999 nr.834 - Traduzione di Luigi Micco 4- Articolo (prima parte) " Si può festeggiare il 50° anniversario delle Convenzioni di Ginevra?" di Gilbert Holleufer Traduzione di Alessandra Sorrenti 5- Stati parte delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei due Protocolli 1977 - Ratifiche, adesioni e successioni al 31 maggio 1999 - Traduzione di Sabrina Bandera ( In attach)
------------ 1 ------------ ICRC NEWS 38 16 settembre 1999 SOMMARIO TIMOR EST: IL CICR TORNA A DILI: Il 14 settembre, due delegati del CICR sono tornati a Dili per valutare la situazione in termini umanitari ed incontrare le autorità militari per discutere le garanzie di sicurezza che consentiranno all'organizzazione di riprendere la propria attività a Timor est. CRISI NEI BALCANI: KOSOVO: DISTRIBUZIONE DI MATERIALE TRASFUSIONALE: Grazie ad un progetto da circa 444.000 marchi tedeschi che è parte del programma sanitario del Movimento internazionale della Croce-Rossa e della Mezzaluna-Rossa in Kosovo, il CICR ha cominciato a fornire sacche di sangue, siero per la determinazione dei gruppi sanguigni e diversi test per malattie che si trasmettono col sangue. CRISI NEI BALCANI: SERBIA: IL CICR AIUTA A RIPARARE GLI EDIFICI DANNEGGIATI: Avvicinandosi il rigido inverno balcanico, il CICR sta lavorando alacremente per far sì che le strutture sanitarie e gli edifici pubblici abbiano i vetri necessari a riparare le finestre andate in frantumi nel corso dei bombardamenti aerei della NATO. INDIA: CORSO DI SPECIALIZZAZIONE UNIVERSITARIO SUI DIRITTI DELL'UOMO, IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO ED IL DIRITTO DEI RIFUGIATI: La Società indiana di diritto internazionale (ISIL), istituzione nazionale di ricerca per la promozione del diritto internazionale pubblico, offre un corso di specializzazione universitario di un anno finalizzato all'ottenimento di un diploma sui diritti dell'uomo, il diritto internazionale umanitario ed il diritto dei rifugiati. ------------ 2 ------------ Rivista Internazionale della Croce Rossa Giugno 1999 - volume 81 - n. 834 Editoriale Cento anni fa, il 29 luglio 1899, la (prima) Conferenza internazionale di Pace riunita a L'Aia, si concluse con una cerimonia solenne. Convocati su iniziativa dello Zar di Russia, Nicola II, i plenipotenziari dei principali Stati europei, della Cina, degli Stati Uniti, del Giappone, del Messico, della Persia e del Siam, erano chiamati, secondo i termini di un memorandum russo, a "ricercare i mezzi più efficaci per assicurare a tutti i popoli i benefici di una pace reale e duratura e di mettere innanzi tutto un limite al progressivo sviluppo degli armamenti attuali". La Conferenza conobbe un cocente insuccesso. La sfiducia tra alcune delle principali potenze era a tal punto, che non fu possibile adottare una qualunque misura. Solo la costituzione della Corte Permanente di Arbitraggio salvò la faccia di quelli che volevano assicurare, attraverso un'istituzione permanente, la regolamentazione pacifica delle controversie tra Stati. In compenso, la Conferenza del 1899 ha avuto successo strepitoso in un campo, considerato inizialmente come secondario dai suoi promotori: l'applicazione del diritto internazionale umanitario alla guerra moderna. In effetti, i testi adottati a L'Aia, tra cui la Convenzione relativa alle leggi e usi di guerra di terra e i suoi Regolamenti allegati, hanno codificato e sviluppato il diritto in vigore. Ma la Conferenza de L'Aia ha ugualmente segnato il debutto di un processo teso a sviluppare il diritto della guerra - chiamato oggi diritto internazionale umanitario - proseguito poi per tutto il XX secolo. Molti contributi pubblicati in questo numero della Rivista testimoniano l'estendersi del campo coperto dalle decisioni prese nel 1899 a L'Aia. Le circostanze sono state diverse cinquant'anni fa, quando un'altra Conferenza diplomatica, riunita questa volta a Ginevra su invito del governo elvetico, ha adottato le quattro Convenzioni del 12 agosto 1949 per la protezione delle vittime della guerra. Come aveva ricordato Jean Pictet, in un articolo di cui la Rivista riprende qualche estratto in questo numero, gli Stati uscivano da una guerra terribile ove la protezione delle vittime delle ostilità da parte del diritto internazionale si era dolorosamente dimostrata insufficiente. Bisognava dunque porvi rimedio negoziando, opportunamente, una convenzione relativa alla popolazione civile. Allo stesso tempo, bisognava aggiornarlo. Oggi, le Convenzioni del 1949 costituiscono la legge fondamentale per la protezione delle vittime della guerra e la condotta delle ostilità durante i conflitti armati. Esse sono completate dai due Protocolli Aggiuntivi dell'8 giugno 1977, da molti trattati internazionali relativi a dei soggetti specifici e da numerose norme consuetudinarie. "Si può celebrare il cinquantesimo anniversario delle Convenzioni del 1949 ?" si domandava l'autore di un articolo pubblicato nel numero precedente della Rivista. Nelle circostanze attuali, la questione riveste un'importanza particolare, poiché molti conflitti omicidi si sviluppano oggi nel mondo, senza rispetto né per l'uomo né per ciò che lo circonda. Alcuni autori dei testi pubblicati in questo numero, non festeggiano una vittoria né tentano di promuovere una sconfitta. Essi esaminano piuttosto certi aspetti concreti del diritto internazionale umanitario e le difficoltà della sua applicazione, nell'idea di rafforzare le basi per assicurare un rispetto migliore. ------------ 3 ------------ Rivista Internazionale della Croce Rossa Giugno 1999 - volume 81 - n. 834
Indice degli argomenti 100 anni: Diritto de L'Aia 50 anni: Convenzioni di Ginevra del 1949 ----------------------------------------- pag.201 Editoriale pag.203 Una nota dell'Editore pag.205 Dalla Seconda Guerra Mondiale alla Conferenza diplomatica del 1949 Jean Pictet pag.209 Le Convenzioni di Ginevra del 1949: una strada decisiva (prima parte) Catherine Rey-Shyrr pag.241 Il mezzo secolo delle Convenzioni di Ginevra pag.265 1949 e 1999: Rendere importanti le Convenzioni di Ginevra dopo la Guerra Fredda David Forsythe pag.277 Cent'anni dopo L'Aia, cinquant'anni dopo Ginevra: il Diritto Internazionale Umanitario ai tempi della guerra civile Marie-José Domestici-Met pag.303 Passi da fare per assicurare l'applicazione del diritto internazionale umanitario nelle Filippine Alberto T. Muyot e Vincent Pepito F. Yambao pag.317 L'applicazione delle Convenzioni di Ginevra del Tribunale Internazionale per la ex Yugoslavia William J. Fenrick pag.331 L'influenza dei principi umanitari nei negoziati dei trattati sul controllo delle armi Robert J. Mathews e Timothy L. H. McCormack pag.353 Il Comitato Internazionale della Croce Rossa all'epoca della prima Conferenza de L'Aia (1899) André Durand pag.365 I progetti ginevrini di revisione della Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864 (1868-1898) Véeronique Harouel Croce Rossa e Mezzaluna Rossa ----------------------------- pag.387 La ricerca dei tedeschi prigionieri o considerati dispersi nel corso della Seconda Guerra mondiale - Una pagina della storia del Servizio di ricerche della Croce Rossa Tedesca Monika Ampferl Fatti e documenti ----------------- pag.403 Il conflitto nei Balcani e il rispetto del Diritto Internazionale Umanitario pag.412 Il Comitato Internazionale della Croce Rossa riafferma la sua politica di "porte aperte" sul suo ruolo durante e dopo a Seconda Guerra mondiale pag.416 Adesione della Repubblica del Kenya ai Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 pag.417 Dichiarazione del Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord secondo l'articolo 90 del I Protocollo pag.418 Ratifiche del Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 dell'Irlanda Libri e riviste --------------- pag.423 Michel Deyra, Droit International Humanitaire (Antoine Bouvier) pag.424 Véronique Harouel, Histore de la Croix-Rouge (Adolfo J, Beteta H.)
pag.427 Michael A. Meyer e Hilaire McCoubrey (ed.) Reflections on law and armed conflicts. The selected works on the laws of war by the late Professor Colonel G.I.A.D. Draper, OBE (Michael Bothe) pag.429 Caroline Moorehead, Dunant's Dream - War, Switzerland and the history of the Red Cross (Hans-Peter Gasser) pag.433 Ameur Zemmali, Combattants et prisonniers de guerre en droit islamique et en droit international humanitaire (Habib Slim) pag.438 Pubblicazioni recenti Varie ----- pag.440 Il Fondo Paul Reuter ------------ 4 ------------ Dalla Revue International de la Croix Rouge nr.833 - Marzo 99 pag.135 - Tradotto da Alessandra Sorrenti SI PUO' FESTEGGIARE IL 50° ANNIVERSARIO DELLE CONVENZIONI DI GINEVRA? (prima parte) di Gilbert Holleufer Il 50° anniversario delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 per la protezione delle vittime di guerra è certamente una data che si rivolge al Movimento internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e a tutti coloro che si interessano al diritto internazionale umanitario. Certamente, si può vedere in esso un'occasione di commemorazione tra le tante di questa fine secolo, laddove la maggior parte delle istituzioni moderne, quasi tutte generate dalla fine della Seconda Guerra mondiale, celebrano il loro cinquantesimo anniversario. Ma per il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) e in particolare per il Movimento, è naturale che si diffonda al tempo stesso l'idea di un avvenimento, di una celebrazione, in poche parole, di un'iniziativa evidente che soddisfi il desiderio di "fare qualcosa" in questo appuntamento inevitabile della storia. Tuttavia sorge subito un dubbio: è legittimo celebrare semplicemente, e in primo luogo, un trattato che, pur avendo permesso di praticare innumerevoli azioni tese a ridurre le sofferenze di popolazioni in situazioni di guerra, non ha permesso di risparmiare dalla morte e dalla sofferenza milioni di vittime costate all'umanità in questa fine secolo, durante il quale le distruzioni effetto della guerra hanno raggiunto proporzioni raccapriccianti? Nonostante ciò, il Movimento internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, che ha difeso il diritto internazionale umanitario con costanza, non deve portare solamente sulle proprie spalle il peso della miseria che si è abbattuta su tanti milioni di persone nelle guerre del secolo. Al contrario, il suo compito nei confronti del diritto internazionale umanitario, alla vigilia di questo anniversario, deve essere quello di adoperarsi ancor più intensamente per promuovere non solo un insieme di trattati importanti, ma anche i valori che rappresentano. All'incrocio tra passato e futuro, non si può comprendere un anniversario che in una prospettiva storica, ed è in tale prospettiva che il Movimento e la comunità internazionale sono in qualche modo invitati nel 1999 a compiere ulteriori sforzi per portare tutti coloro che sono coinvolti ad una riflessione che porti sia a fare un bilancio sia a fare progetti per l'avvenire. Traendo una lezione dal passato, guardando al futuro, questa riflessione deve giungere alle origini, all'essenziale, poiché non si potrebbe scegliere un momento migliore: e l'essenziale, in materia di diritto o di principi umanitari, è sapere se è realistico pensare che un grado di decenza, una certa regolamentazione dei comportamenti, una certa codificazione di atti e attitudini siano possibili in guerra e di sapere come mettere in pratica questa idea. In effetti, al di là di tutte le divergenze di opinione, ciò che è certo è che parlare di vera posta in gioco del diritto internazionale umanitario e della tradizione morale che lo sostiene parlare di guerra e in maniera abbastanza credibile per rispondere alle domande dei dibattiti che hanno una reale influenza al giorno d'oggi sulla guerra. Il diritto internazionale umanitario e i suoi principi sono violati o dimenticati ogni giorno: non si può rinunciare a lottare né vivere di illusioni. Bisogna andare incontro alla realtà e sbarazzarsi delle astrazioni morali. Altrimenti, il diritto internazionale umanitario e i suoi principi correranno sempre il rischio di restare virtuali, il discorso del CICR e del Movimento nel suo insieme rischierà di ottenere una vittoria morale, certamente, ma troppo spesso ciò significa una sconfitta "politica" e sociale. Ora, per far sì che un dibattito sia in grado di fornire delle risposte, bisogna che parta da delle buone domande. Tale è la sfida forse che questo fine secolo lancia al Movimento, laddove la confusione tra i punti di vista umanitari, la confusione dei discorsi e dei termini di riferimento contraddittori che li veicolano, hanno forse finito per mettere in ombra la domanda essenziale: i fondamenti dell'etica umanitaria sono universalmente condivisi? Come può accadere che l'etica umanitaria sia così spesso riconosciuta sul piano dei valori, e , ahimè, così poco messa in pratica sul campo? Si tratta dunque solo di una fatalità? Porre queste domande, è porsi quella del rapporto tra la natura umana e la guerra in generale, un dibattito senza dubbio vecchio come il mondo ma divenuto di attualità sempre più scottante nel corso del XX secolo. E' sicuramente nei riguardi di tale questione che bisogna oggi le poste in gioco dell'etica umanitaria, non solo sotto forma di imperativo morale, ma maggiormente come una via verso soluzioni pratiche e reali. Il dibattito moderno sulla guerra Il discorso umanitario è prima di tutto un'obiezione alla concezione a priori radicalmente distruttrice dell'attività di guerra. Ora, ridimensionando questa posizione morale, il dibattito sulla guerra si è principalmente incentrato, nel corso di questo secolo, sull'esplorazione di mezzi per sradicare il "fenomeno guerra" una volta per tutte. La storia di tale dibattito mette in luce la tragica tensione tra la volontà di finire con la guerra e l'evidenza sconcertante della sua ricomparsa, sempre più violenta, sempre più scandalosa. Una tale tensione, simili rivolgimenti, si spiegano però in vista del contesto in cui ha avuto luogo. Nella prospettiva storica cui ci invita la fine di questo secolo, è legittimo tornare indietro, per tastare il polso di questo scontro fondamentale, e per collocarvi il diritto internazionale umanitario, al fine di capire meglio ciò che è in gioco del presente. Nel 1933, su iniziativa della Società delle Nazioni, Albert Einstein inizia una corrispondenza con Sigmund Freud sul tema "perché la guerra?", che dà origine ad un opuscolo di rara qualità e di rara autenticità in quell'anno fatidico. Questo opuscolo, troppo a lungo dimenticato in seguito, rimane espressione di grande attualità. La discussione tra queste due geniali figure della storia delle idee riassume mirabilmente l'insieme del dilemma sul quale si confronta il dibattito di questo secolo sulla guerra. Da un lato, Albert Einstein, difensore dell'idea che il progresso scientifico deve necessariamente accompagnarsi ad un proporzionale progresso morale dell'umanità, incarna una posizione ottimista pacifista. Quest'ultima non gli impedisce di essere lucido e d'interrogarsi sulla natura distruttrice dell'umanità, che egli evoca con forza, per chiedere a Freud se pensa che sarà possibile un giorno dominare questo "bisogno d'odio e distruzione che l'uomo ha in sé". Al fisico magnanimo, lo psicologo oppone all'inizio un realismo che si basa sull'esperienza acquisita dall'esplorazione minuziosa della natura umana: esponendo semplicemente i meccanismi della violenza e della guerra, che giudica inseparabili dalla natura umana in quella che egli chiama la sua propria "mitologia" scientifica, si rassegna a dichiarare che in funzione di tali osservazioni, "si farebbe opera inutile a pretendere di sopprimere le tendenze distruttive dell'uomo", anche se egli stesso riconosceva "che si può tentare di canalizzare la tendenza umana all'aggressione, in modo che non trovi espressione nella guerra". Indicando delle vie teoriche, finì tuttavia per dire che "c'è ogni probabilità che sia una speranza utopistica" se si cerca una soluzione a breve termine. Se esistono vie "praticabili [...] non permettono di giungere a successi rapidi". Ma aggiunge anche che "che non è affatto piacevole immaginare dei mulini che macinano così lentamente che si farebbe a tempo a morire di fame prima di avere la farina". Da un lato Einstein, che pure indica ostacoli con precisione, è convinto che una soluzione radicale, che porti alla pace universale, debba esistere. Dall'altra, Freud, moralmente più a disagio, è convinto che la tendenza distruttrice fondamentale dell'uomo sia insuperabile. Anche se crede che sia possibile mitigarla, resta pessimista riguardo alla fatale incapacità dell'uomo di dominare le proprie tendenze. Al di là dei loro argomenti, evidentemente discutibili, Einstein e Freud, sotto la pressione del momento storico, si pongono coraggiosamente a discutere il nocciolo della questione, e rappresentano i due estremi tra i quali il dibattito moderno sulla guerra ha oscillato durante il secolo: da un lato una posizione ottimista che crede nella capacità dell'uomo di superare la propria originale violenza fino ad abolire la guerra, dall'altro la posizione pessimista, che dubita che la creatura umana possa mai gestire i propri conflitti se non ricorrendo alla violenza armata. Tra queste due posizioni si schiereranno tutte le grandi questioni del secolo. Che ne è del diritto internazionale umanitario? I principi etici che sostengono questo edificio, a guardarli da più vicino, si collocano a metà strada tra queste due posizioni estreme. Il diritto stesso esprime chiaramente questo "compromesso" morale, che riconoscendo al tempo stesso la guerra come un realtà de facto, cerca di obiettare ad essa con l'esigenza del rispetto della persona umana. Ciascuna della quattro Convenzioni regola il comportamento in guerra tenendo conto sia della necessità militare sia della necessità umanitaria di proteggere la dignità degli uomini. Tale posizione è sembrata moralmente difficile da ammettere, parve contraddittoria, è fu talvolta criticata non solo come compromesso, ma come moralmente "compromettente", poiché alcuni ritengono che "giustifichi" la guerra. E pure esiste, e se non annuncia un mondo ideale, non ha smesso di corrispondere alla realtà dei fatti, che non hanno mai permesso all'umanità di dondolare tra uno stato di pace universale e uno stato di guerra universale. Tra il 1933 e il 1945, un mondo quanto mai reale perde intanto di vista i suoi ideali, qualunque siano, e sprofonda nell'orrore, come se nell'immediato, la Storia avesse voluto dare ragione a ciò che Freud evoca di peggiore nella natura umana. Nel 1945, in compenso , è l'ora della strutturazione dei discorsi della non-violenza, e non solo in Occidente. Ne è prova l'epopea di Gandhi. Nell'euforia della pace ritrovata e del "mai più questo", gli Stati adottano la Carta delle nazioni Unite che bandisce virtualmente la guerra, come una prima tappa concreta verso giorni che esalteranno la pace universale. Si potrebbe credere che il diritto internazionale umanitario e i suoi principi siano presto condannati a divenire obsoleti. Nel 1946, la Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite si rifiuta in effetti di entrare nella questione della codificazione del diritto di guerra. Pertanto, nel 1949, gli Stati pongono il loro impegno nella revisione delle Convenzioni di Ginevra esistenti e anche nell'adozione di una quarta Convenzione, in apparente contraddizione con lo spirito pacifista dominante che ha ispirato la Carta delle Nazioni Unite. Ciò che può sorprendere si spiega in parte col semplice fatto che , già dopo il 1945, la situazione internazionale stava rapidamente degradando che la prospettiva di una terza guerra, della guerra, si affermava nuovamente come una fatalità quasi inevitabile, tagliando corto con tutto le speranze di pace. E non è che nel momento della percezione della guerra, come una realtà tangibile, che il diritto umanitario ricostituisce l'unanimità, che il "compromesso" si impone come un ricorso pragmatico contro il peggio se non contro il male, permettendo almeno di limitare la violenza che non si può evitare. Si sa: la dinamica delle due superpotenze nucleari a metà del secolo che in seguito a congelato la guerra nei due blocchi, che hanno beneficiato di una falsa pace denominata "guerra fredda", mentre le guerre si riaccendono nel resto del mondo. In un mondo in cui le alternative sono radicali - la pace o l'olocausto atomico, un'ideologia o l'altra, una guerra giusta o una guerra ingiusta - le speranza hanno finito per convergere verso posizioni morali estreme: da un lato i seguaci di ideologie dominanti per le quali la soluzione finale non poteva essere che la sparizione dell'altro blocco, dall'altro, l'esigenza di finirla una volta per tutte con la minaccia nucleare e la guerra. In tale ambiente saturato da posizioni ideologiche assolute, di valori esclusivi, di derive verso l'utopia e elle visioni di apocalisse nucleare, è naturale che l'obiezione umanitaria e il diritto internazionale umanitario non abbiano ottenuto che la parte ridotta del dibattito globale. Resta sul campo protetto dalle Convenzioni di Ginevra, scritte verso e contro tutto il sistema internazionale, con l'apporto dell'insieme del Movimento, il CICR che ha potuto trasformare i loro principi in atti dei quali hanno potuto beneficiare le vittime delle guerre che si sono susseguite. Ma la storia ha avuto ragione sui discorsi, ancora una volta. Senza preavviso, senza che alcuno potesse immaginare una tale evoluzione, la cortina di ferro è caduta in un batter d'occhio, da sola, senza che alcuna delle forze ideologiche e militari così lungamente forbite durante il secolo non l'abbiano potuta spingere. Poichè altre dinamiche si erano già messe in moto, i discorsi dominanti si integrano male. Infine, la realtà ha trasformato questi discorsi in illusioni. Dove sono oggi le ideologie che furono la nostra preoccupazione dominante in tanti anni? E quante critiche sono state avanzate su questo ritorno al caos, al complesso e all'inesplicabile che ha subitaneamente significato per tutti i sistemi stabiliti la fine della guerra fredda? Pierre Hassner riassume in maniera ammirevole il fenomeno: "La fine della guerra fredda è la vittoria delle evoluzioni sulle strutture" . I processi politici, economici, sociali e tecnologici si sono sviluppati durante la guerra fredda, di cui hanno finalmente minato le strutture. Non si è talvolta rimpianto l'ordine strutturato, stabile, intelligibile, semplice della guerra fredda? E non c'è stata la tendenza a immaginare il dopoguerra fredda ideale sul modello antico, con l'idea di un ordine mondiale nuovo, ideale strutturale che non ha resistito a lungo alla nuova evoluzione? Quanto all'umanitario, si era ugualmente strutturato durante la guerra fredda, ma questa formazione gli è costata la flessibilità di cui avrebbe avuto oggi bisogno per comprendere una realtà divenuta fluttuante, che si sottrae alle sue categorie prestabilite. Subito dopo la fine della guerra fredda, la logica del sistema umanitario internazionale è stata portata e parzialmente assorbita dagli stessi processi di mondializzazione politica, militare, economica e tecnologica, quali siano, più che dal resto della società. L'agitazione è grande intorno per l'improvvisa assenza di termini di riferimento comuni e per la realtà che sottrae ai mezzi tradizionali. Le azioni, gli attori si sono istantaneamente moltiplicati. Anche i discorsi si fanno sempre più confusi. Le parole fanno sempre più fatica a definire la situazione e la proliferazione dei neologismi e parole composte è un sintomo significativo (urgenza complessa, politico - militare, peace keeping, peace making, peace support, ecc.). I differenti mandati, i differenti attori, i differenti punti di vista si oppongono gli uni agli altri invece di completarsi. L'umanitario si frammenta, come il resto della società. Si cerca di colmare la divaricazione che si è creata tra le parole e i fatti. ------------ 5 ------------ |